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Intervista a Lorenzo Ferrari | MENUENGINE

La nostra prima stella del mese della Ristorazione PressUP è Lorenzo Ferrari: piccolo imprenditore nel campo della ristorazione, fondatore con Giampaolo Monti di MENUENGINE, collaboratore del magazine professionale La Madia Travelfood e Ristorazione Italiana Magazine, riconosciuto quale esperto di riferimento in materia di Menu Engineering dal Corriere della Sera, da Ristorantiweb (gruppo Bargiornale), da Ristorazione Italiana Magazine, da Il Golosario da Sala&Cucina, da Business.it, da Agora Magazine, da Agenzia Giornalistica Italiana e da decine di altre testate, online e offline.

Lorenzo Ferrari, possiamo dirlo senza tema di smentita, a te dobbiamo la diffusione in Italia del Menu Engineering: ovvero un approccio scientifico alla progettazione dei menù che  si differenzia dall’approccio classico per obiettivi e processo di realizzazione.

Immodestamente, si!

Il menù engineering nasce negli anni ‘80 nei paesi anglosassoni negli Stati Uniti d’America, ma in italia non c’è stato mai nessuno che abbia provato ad usarlo per aumentare la redditività degli esercizi ristorativi in maniera sistematica.

In poche parole, in cosa consiste? 

Ingegnerizzare un menù impone di trattare secondo principi di gestione tipici del settore industriale il processo di produzione e vendita di un ristorante. Si parte dall’identificazione dei costi dei singoli piatti, quindi se ne analizzano le prestazioni e le potenzialità di vendita, infine, si organizza il menù cartaceo dell’esercizio in funzione degli obiettivi commerciali.

Quali sono i suoi benefici?

Principalmente tre:

– orientare i consumi degli ospiti del locale

– massimizzare i profitti preservando la qualità

– pianificare e verificare obiettivi di gestione ben precisi

Mi piace descrivere così il beneficio principale del mio metodo: far combaciare due bisogni: quello del ristoratore, che è vendere piatti profittevoli e di buona qualità percepita, e quello del cliente, che è trovare facilmente il piatto migliore del menù.

Dove hai conosciuto il menu engineering.

Era il 2012 e io seguivo un ristorante in Alto Piemonte.

Con il titolare facevamo marketing con buoni risultati, ma non erano per noi decisivi, si navigava a vista, perché pur riempiendo il locale non generavamo grandi utili. Mi sembrava di riempire una vasca con il fondo bucato.

Capii che il problema non era l’acquisizione clienti, ma la valorizzazione del cliente che riuscivamo a fare entrare nel locale. mi sono messo alla ricerca di approcci alternativi che ci permettessero di gestire questo problema e nelle infinte ricerche fatte sul web mi sono imbattuto in questa disciplina.

Con il tempo e l’esperienza il tutto si è formalizzato in un metodo vero e proprio.

Oggi tu fai cultura professionale attraverso il tuo seguitissimo gruppo Facebook RistoratoreTop, hai scritto un libro (Brucia il tuo Menù), offri vari prodotti formativi tra cui MenùMastery: un vero e proprio piccolo master per ristoratori. Ma quanto è difficile per il ristoratore fare il salto di qualità?

Questo approccio non è per tutti e chi non è disposto a costruire una base di dati non può pensare di risolvere le criticità del proprio esercizio con questo approccio. Del resto si dice aiutati, che Dio ti aiuta. 

Oggi abbiamo dato una mano a circa 2.500 esercenti che hanno investito molto lavoro per fornirci i dati necessari a far girare il nostro modello. Facendo due conti parliamo solo dell’1,3% degli oltre 180.000 esercizi censiti in Italia. C’è ancora tanto da fare.

Tutto questo lavoro poi viene messo su carta e dato in mano al cliente. Quanto conta la fisicità del menu?

E’ difficile dire quanto possa incidere nei risultati. Sicuramente un menù fatto male abbatte in maniera notevole le potenzialità di vendita di un locale. Può rappresentare un vero e proprio nemico invisibile che sottrae risorse senza alcun segnale evidente.

Quali sono le tre caratteristiche che un menù deve sempre avere?

Il peso ti offre una valutazione immediata di qualità, quindi scegliere un cartoncino di prestigio e di peso adeguato. Diversamente, quando il cliente lo prende, il rischio è l’effetto mano moscia al primo appuntamento.

Il design è fondamentale per mantenere la coerenza con l’identità del locale, regola banale, ma che raramente viene rispettata con eccessi in un senso e nell’altro.

La leggibilità, infine: sembra scontato, ma non lo è. L’ideale è scegliere un font di base molto leggibile, non usare troppi font diversi nello stesso menù, rispettare una gerarchia delle informazioni in termini di posizione e di peso.

L’errore più frequente che si commette in un menù?

Sicuramente l’estensione: il menù va tarato sulle capacità della propria cucina e del proprio personale. Spesso a determinare il numero dei piatti sono gli spazi presenti nei portamento standard che si acquistano. Un buon menù concentra l’offerta in due facciate e permette al cliente di pianificare la propria uscita guardando l’offerta nel suo insieme.

Ma non rischiamo di allinearci a schemi troppo semplicistici?

Il mio consiglio è non allungare il brodo, ma impreziosire quello che ho progettato in termini enogastronomici e tecnici, evitando formati troppo piccoli e tomi biblici.

Un ristorante stellato può puntare su materiali nobili, ante molto rigide e carte pregiate.

Un ristorante di tendenza a un designa più spinto.

Una pizzeria a una soluzione coinvolgente e smart.

E cosa pensi del formato spillato?

E’ una opzione, non lo sconsiglio a priori, ma ne sconsiglio una paginazione eccessiva che porti il cliente a consultazioni troppo lunghe e disgreghi l’idea generale del locale.

Cosa potresti consigliare a un cliente?

Beh un semplice due ante che punti tutto sui materiali e sulla qualità della rilegatura è una buona idea per un ristorante. Per qualcosa di più veloce immagino una tavoletta in legno o metallo con una pinza, o anche un bel pieghevole organizzato e decorato con cura. A fare la differenza è sempre il modo in cui si contestualizza al locale.

E se avesse un ristorante esotico?

In questi casi bisogna pensare a qual è la maniera migliore per rendere popolare il prodotto che sto vendendo. il mio consiglio è orientarsi verso menù fotografici che consentano al cliente di vedere e comprendere bene il prodotto e di non restare scontento della propria ordinazione.

Dove va la ristorazione popolare?

Crescono sempre più i ristoranti di territorio, la cosa positiva è che lo fanno acculturandosi e interpretando e non proponendo banalmente su scala più grande una cucina casereccia.

Ma la vera tendenza sono i fast casual, ristoranti in grado di fondere l’informalità e l’accessibilità alla grande qualità delle preparazioni. A questi due aspetti segue spesso un’alta redditività.

E il tuo locale ideale?

Beh, chi mi conosce sa che non faccio mistero della mia passione per la birra e per un ambiente divertente, informale e accessibile. Un posto dove stare bene e mangiare e bere bene siano qualcosa di molto naturale.

OK, grazie di questa piacevole chiacchierata, la prossima la facciamo lì davanti a una buona birra!-)

Grazie a voi!

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